su bacon – punizione per il ribelle

divenire danza

enzo cosimi e le ombre delle forze invisibili di francis bacon

Stefano Tomassini Galleria

Una iniziale insidia sembra minacciare il nuovo lavoro di Enzo Cosimi, Bacon – punizione per il ribelle, visto al Teatro Furio Camillo di Roma : l’ideale sovrapposizione di un racconto, di una cronaca – nello specifico, quella di “Friedrich Harmann, serial killer tedesco che fra il 1918 e il 1924 uccise 27 giovani, con i quali aveva avuto dei rapporti sessuali, azzannandoli alla gola e bevendone il sangue” – a un tipo di pittura che, invece, liquida il figurativo, il racconto e dunque la rappresentazione, nell’isolamento e nell’estrazione di forze in lotta perenne con le proprie ombre.

bacon - punizione per il ribelle ph. andrea coppola
ph. andrea coppola

Ma, nell’inedito assolo di Cosimi, la cronaca diventa pretesto che inscena il latente a tale narrazione, e non di rado anche il suo rimosso simbolico, ossia quello che viene descritto per essere nascosto, e quello di cui si parla in quanto fantasma di ciò che manca. La funzione più propriamente narrativa della cronaca non rappresenta né illustra, bensì isola e circoscrive attraverso la danza il tentativo di una liberazione. Sono, appunto, le forze invisibili della pittura di Bacon che, grazie a questo prestito extra-pittorico, nella regia coreografica di Enzo Cosimi diventano visibili e quasi organiche, mantenendo salda la rinuncia di Bacon alla figurazione e, scelta comune ad entrambi, senza nemmeno cedere alle lusinghe “fredde”, ma di più pronta riscossione della composizione astratta.

Difatti, nel corso dell’evento, mai sembra emergere come significativo l’ordine riconoscibile  della narrazione, mentre ogni porzione del danzato è sempre in grado di dispiegare, attraverso le tappe isolate e senza diegesi del massacro proposto dalla cronaca, l’invisibile tensione tra quelle forze che sdoppiano e rivelano, del corpo, la presenza e la sua ombra.

In tale tensione, ben si capisce il perché della scelta di un assolo, e del continuo controcanto tra la Figura,  di matrice prevalentemente pittorica, la cui lotta nei confronti del corpo è presentata come dissolta e sospesa nell’infinito biancore dello sfondo, nelle bellissime immagini video proiettate a pieno schermo sul muro del fondo scena (approntate con l’aiuto di Roberto Carotenuto), e la sua ombra tenace (Cosimi stesso, segnato dalle luci potenti di Luca Storari), che nello spazio scenico risuona nel movimento ogni singolo fatto/racconto come esemplare e assoluto.

E converrà sottolinearlo subito : dalla scena è assolutamente bandito ogni compromesso con la rappresentazione della crudeltà : nessuna operazione di macelleria, né l’inumanità di un qualche esperimento di martoriamento fisico e psichico del corpo attoriale è disponibile in questo lavoro. Perché Enzo Cosimi è un costruttore di icone : la crudeltà non viene rappresentata ma resa tangibile attraverso un corpo continuamente in fuga dal suo centro isolato e reso immagine in un movimento che è l’inveramento scenico della lotta tra il visibile e l’invisibile. Anche quando appare il sangue, che riga o più propriamente segna il corpo nelle sue parti meatiche, la sconfitta della rappresentazione è evidente nel disimpegno grottesco e da macchietta della Figura con la sospensione dell’azione, e del coito ?, attraverso l’ebetaggine di un walkman.

Sono risolte, inoltre, e  ben distinguibili, tutte le scansioni figurali della deformazione che, se in Bacon vengono esibite nell’immobilità e nella staticità per rifuggire le insidie dello stereotipo, in Cosimi si realizzano, invece in una più felice sintesi ritmica tra movimento e colore, come l’ombrello sotto cui far fuggire l’espressione del volto nella ripetizione del movimento di una testa che fugge la sua carne fino al sorriso; oppure tra ghigni e sberleffi continui, a ricordare che l’espressione è soltanto una delle possibili realtà viventi del corpo, e non sempre la più audace; fino al movimento pelvico, abbattuto magari su un corpo il più inanimato possibile, che nella sua ripetizione infinita verso la totalità dello spazio, finisce per perdere il suo oggetto e disperdere, cosi, ogni suo senso.

Paradossalmente, proprio la narrazione, accompagnata con la costante presenza e l’uso di numerose mele verdi a memoria della lezione di Cézanne sulla “cosalità” della materia ma insieme sembrerebbe anche dei corpi immaturi e ancora saporosi delle giovani vittime di Harmann, è la matrice non rappresentativa di questa ultima realizzazione di Enzo Cosimi utilizzata per evitare che lo spostamento di codice della pittura nella danza implichi, anche una ricaduta proprio nello stereotipo, nell’illustrazione, quando non nel divulgativo.

La Figura del ribelle che ne emerge è di certo senza idillio e senza profezia : icona senza cuore e senza mito, che riscatta le ostinazioni avvilenti dell’ordine o le intimazioni delle convenzioni, non tanto nella battaglia di chi vuole e sa dire di no, ma nella resa, non senza lotta, all’evidenza di un’equivalenza nell’uomo tra spirito, corpo e animale, di cui la pittura di Bacon è feroce testimonianza.

Questa scena visibile della psicomachia dell’umano, che attraverso il movimento del corpo in lotta con la sua ombra sembra inverare l’unica possibile organica unità tra interiore ed esteriore, mostra infine in Cosimi una “lingua comune” con quei termini in cui la tradizione coreolinguistica ha pensato fin dai suoi inizi umanistici la danza, ossia l’invito dei primi trattatisti a “danzare per fantàsmata”, la cui lunga durata in una felice intuizione critica già rilevava Aurelio Milloss, e che ora ritorna anche in quest’ultimo lavoro di Enzo Cosimi su Francis Bacon, là proprio dove si richiama all’idea del possibile divenire danza di una pittura rigorosamente senza didascalie.